2.
Un’auto pirata

In realtà, l’uomo con il basco non fece nulla di così eclatante. Si limitò ad affondare la mano nell’impermeabile per estrarne il portafogli. Agitandosi come un attore durante la scena madre di un dramma, l’ometto prese una banconota e la scagliò contro il registratore di cassa. Infine, senza smettere di protestare con il salumiere, ghermì il suo cartoccio di salsicce e uscì dal negozio.

— Tutta questa sceneggiata e adesso non prende neppure il resto! — commentò Fabò con gli occhi fissi sulla salumeria.

— Che tipo strano! — disse Annette.

I fratelli indugiarono ancora alcuni istanti sulla scenetta. Si erano distratti per scambiarsi un sorriso divertito quando un rumore improvviso li fece voltare di scatto verso la strada.

Si trattava di un forte stridio di pneumatici.

La scena che si svolgeva oltre la vetrina del Petit Canard era alquanto concitata. Una vecchia berlina parcheggiata in seconda fila era partita all’impazzata, beccandosi gli insulti di un ciclista di passaggio. L’auto aveva zigzagato paurosamente nella via per alcuni metri e nel momento in cui aveva acquistato un po’ di velocità aveva puntato dritto contro...

— L’uomo col basco! — esclamò Annette balzando in piedi.

— Andiamo a vedere! — le fece eco Fabò scattando verso l’uscita del Petit Canard.

I fratelli si fecero largo di corsa tra i clienti del locale. Videro l’uomo con il basco disteso per terra sull’asfalto e l’auto pirata che accelerava per sparire in una via laterale. Nessuno dei due riuscì a leggere la targa.

Annette e Fabò raggiunsero il luogo dell’incidente. L’uomo sembrava non dare più segni di vita. Il basco giaceva poco più in là, mentre il cartoccio delle salsicce era volato sulla capote di un’auto parcheggiata.

Annette non era una fifona, ma in quel momento sentì le gambe che le tremavano. Con passi sempre più piccoli ed esitanti si accostò al corpo steso per terra. Lei e il fratello erano stati i primi ad accorrere.

— Annette, ascolta! — fece Fabò afferrando il braccio della sorella.

L’uomo stava bisbigliando qualcosa.

— È vivo! — esclamò Annette.

I due ragazzi si fecero coraggio e si chinarono sull’investito. Avvertendo la presenza di qualcuno, l’ometto alzò la testa e proseguì la sua litania: — È una maledizione... Sissignore... Una maledizione... Il malocchio...

Annette e Fabò si scambiarono uno sguardo interrogativo.

— Signore... sta bene? — chiese il ragazzino.

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La bocca dell’uomo si piegò in un sorriso amaro. — Sono riuscito a evitarla... Mi sono levato dalla strada! — disse. Subito dopo, la sua faccia ritornò seria. L’uomo fissò i due fratelli. — Già... Perché sto ben attento io! Da quando mi è piovuta addosso questa maledizione! — disse nel tono di chi sta confidando un segreto.

— Quale maledizione? — domandò Annette.

Di nuovo, l’uomo si rilassò, e il suo sguardo si perse nel vuoto.

— Prima il mio migliore amico... Poi il padrone di casa... Per non parlare di quelle accuse assurde...

Fabò si avvicinò alla sorella, picchiettandosi un dito sulla tempia, come a voler dire: «Questo signore è matto!».

Annette pensò di fargli qualche domanda, per provare a capirci qualcosa. Intanto stavano arrivando anche altre persone, incuriosite da quanto era accaduto. Non appena le notò, l’uomo scattò in piedi, come colpito da una scarica elettrica.

— Il mio cappello! Le mie salsicce! — urlò. — Ladri! Dove li avete messi?!

Scuotendo il capo rassegnati, i due fratelli recuperarono il basco e il cartoccio del salumiere e li riconsegnarono al loro legittimo proprietario.

— Ah! Volevo ben vedere! — borbottò l’uomo riprendendosi le sue cose con gesti bruschi. — E ricordatevi che a Deloffre non la si fa tanto facilmente... Capito? —. Senza aggiungere altro, scosse via la polvere dal basco e dall’impermeabile, si diede una sistemata e, messe in tasca le salsicce, puntò deciso verso rue de Bretagne.

Annette sfoderò il telefonino, pigiò i tasti con una velocità sbalorditiva fino a raggiungere la sezione APPUNTI del menu e scrisse: Deloffre.

— Ok, muoviamoci! — disse al fratello quand’ebbe finito.

— Giusto, sono sconvolto. Facciamoci subito un’altra crêpe — approvò Fabò.

— Ma quale crêpe! — lo rimproverò Annette acciuffandolo per un braccio. — Vieni! Pediniamo Deloffre! concluse abbassando il tono della voce perché nessuno dei presenti la sentisse.

Il ragazzo strabuzzò gli occhi. — Pedinare quello? Ma perché...

Sua sorella si era già messa in movimento per non perdere di vista l’uomo con il basco e a Fabò non restò che seguirla, sbuffando.

— Perché è quello che avrebbe fatto King Ellerton! — osservò Annette con un sorrisetto malizioso.

— King Ellerton avrebbe memorizzato il numero di targa di quel pirata, piuttosto! — le fece notare Fabò. Poi alzò lo sguardo per osservare le finestre delle case che si affacciavano sulla strada. — Oppure avrebbe notato il bagliore di un flash provenire da una di queste finestre e sarebbe andato a farsi dare una fotografia dell’incidente presa “casualmente” da un tizio appollaiato lassù.

— Già. Ma noi non siamo King Ellerton! — rispose Annette zittendo le lamentele del fratello.

King Ellerton era un infallibile detective, protagonista di una serie di telefilm, libri gialli e trasmissioni radiofoniche che, da un anno a quella parte, era diventato l’idolo dei fratelli Gaillard.

Astuto, imprevedibile e insuperabile, sapeva riconoscere un “caso” partendo da un indizio insignificante ed era in grado di incastrare il colpevole grazie a un dettaglio, anche minuscolo.

«Questo è un caso, signori, ma... niente accade per caso!» era il suo motto preferito.

Annette aveva ragione: di fronte a un tentato omicidio e a un personaggio enigmatico quale il signor Deloffre, un segugio di razza come King Ellerton avrebbe immediatamente avviato una delle sue scrupolosissime indagini.

Malgrado ciò, Fabò tallonava la sorella senza troppa convinzione, mentre la bocca gli si storceva in una smorfia schifata. — Bleah!

— Tutto bene? — domandò Annette, senza rallentare. Continuava a fissare l’impermeabile svolazzante del signor Deloffre, cinquanta passi davanti a lei. Al verde, attraversarono una strada ingombra di sacchetti della spazzatura ammonticchiati.

Fabò affondò di nuovo il viso nella felpa.

Annette si tappò il naso con le dita. — La vida dell’invesdigadore buò essere boldo dura! — sentenziò senza perdere di vista l’uomo con il basco.

I gialli di vicolo Voltaire - Un bicchiere di veleno
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